Attorno a lei sono sempre aleggiati misteri, è divenuta terra di disputa tra inglesi e francesi e i sismologi la studiano attentamente perché potrebbe risvegliarsi da un momento all’altro. L’isola Ferdinandea per lo scrittore Filippo D’Arpa diventa “L’isola che se ne andò”: il testo edito da Mursia sabato scorso è stato presentato nella sala del trono del palazzo vescovile di Mazara del Vallo a conclusione della rassegna “Libri d’a…mare” promossa dal Cemsi e dalla Diocesi. D’Arpa ha conversato nel salotto con Maria Pia Sammartano, mentre tre studenti del liceo scientifico cittadino hanno letto passi del libro. A conclusione della presentazione, gli ospiti hanno potuto visitare la sala degli stemmi e degustato i vini della cantina Orestiadi.
Ferdinandea è situata nel Canale di Sicilia, una zona dove vulcani simili sono molto diffusi: dista 30 chilometri dalla costa di Sciacca e 55 chilometri dall’isola di Pantelleria. La sua profondità minima è di 6,9 metri sotto il livello del mare. I primi resoconti sull’attività sottomarina dell’isola risalgono alla prima guerra punica. Successivamente essa apparve e scomparve alcune volte nel corso del XVII secolo, rimanendo comunque in superficie solo per tempi brevissimi. Verso la fine di giugno del 1831, nel tratto di mare a metà strada tra Sciacca e Pantelleria si verificarono alcune scosse sismiche di fortissima intensità, che vennero avvertite fino a Palermo e che causarono gravi danni alla costa sudoccidentale della Sicilia.
L’isoletta suscitò l’interesse di alcune potenze straniere, che nel Mar Mediterraneo cercavano punti strategici per gli approdi delle loro flotte, sia mercantili che militari. A contendersela furono i francesi e gli inglesi. Dopo l’inabissamento, nel 1846 e nel 1863 l’isoletta è riapparsa ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni. Di essa rimangono solo i molti nomi avuti in seguito alla disputa internazionale: Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea.
L’ultima attività di ricerca sull’isola Ferdinandea risale al luglio 2012: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha compiuto la prima campagna di monitoraggio sottomarino nell’area, effettuando un rilevamento geofisico ad alta risoluzione sopra il Banco Graham (-6,9 m sotto il livello marino) e i banchi Terribile (-20 m) a est, e Nerita (-16,5 m) a NE con la nave da ricerca Astrea dell’Ispra. Questa prospezione ha permesso di riconoscere la presenza di 9 crateri vulcanici monogenici, distinti fra loro, a cui dovrebbero corrispondere altrettante eruzioni avvenute nell’area.