Il brano del Vangelo di questa ultima domenica di Quaresima (Gv 12,20-33) inizia con una richiesta inaspettata. Alcuni greci, presenti a Gerusalemme per la festa della Pasqua ebraica, chiedono all’apostolo Filippo di «vedere» Gesù. Quella che a prima vista potrebbe sembrare una domanda banale ha invece un senso molto profondo. Infatti, non si trattava di guardare per individuare chi era il Signore in mezzo a tutta quella gente; cosa che, tutto sommato, poteva essere piuttosto semplice per osservatori attenti. Al contrario, essi chiedevano di poter conoscere realmente chi era Gesù nella sua vera identità. E la risposta che il Maestro dà non è una semplice descrizione della sua persona, magari rifacendosi, per correggerla, all’opinione corrente: Giovanni Battista redivivo, Elia, Geremia o uno dei profeti come tanti ce ne erano stati (cfr Mt 16,14). Egli invita, attraverso l’immagine del chicco di grano, a spingersi oltre le apparenze.
Il simbolo è molto toccante e ha delle analogie fortissime con quanto sarebbe accaduto nel giro di pochi giorni. Infatti, Gesù dice che quel seme, bello da vedersi nell’aspetto, nel colore e nel gusto, da solo così può servire a poco, o a niente. Se, invece, viene interrato e si fa massacrare dalla terra che lo accoglie, non rimane più unico, ma porta molto frutto. Basta guardarlo questo frutto per rendersi conto di quanto espressiva sia la considerazione del Signore e di come essa sia profetica dell’epilogo della sua vita. Infatti, un solo seme, sepolto nella terra e marcito, produce una spiga armoniosa nelle forme, dorata nel colore, scrigno piegato dal peso di tanti chicchi. E la logica che sottostà a questa metamorfosi è sorprendente: il chicco di grano che si fa seppellire e che accetta di perdere la sua vita e la sua forma, risorge dalla terra, in cui era rimasto custodito, più vivo che mai e non più solo ma imprevedibilmente produttivo e abbondante. Si capisce, allora, la parola di Gesù a commento: «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25).
Si badi bene, non sono parole che il Maestro pronuncia pensando alla croce, al sepolcro e alla risurrezione. Egli vuole dirci che solo se accettiamo la sua logica di morte e rinascita, come il chicco di frumento, potremo vivere in pienezza la nostra esistenza e potremo portare quei frutti abbondanti di bontà, che sono le buone pratiche dell’amore fraterno sulle quali un giorno saremo giudicati (cfr Mt 25,31-46).
Bellissima riflessione, certamente fatta da un animo nobile. Senza la morte e la separazione dagli interessi materiali il chicco non può germogliare.
Attendiamo con speranza la nostra resurrezione, in questa e nell’altra vita.