[SPECIALE PASQUA/2] Ecco il legno della croce su cui fu appeso il Salvatore del mondo: venite, adoriamo

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La liturgia “In passione Domini” segna il secondo giorno del Triduo pasquale. Sono le tre del pomeriggio, l’ora nona. L’altare è spoglio, silenziosa l’Assemblea, nessun canto, nessuna lucerna. Un gesto fortemente simbolico apre l’azione liturgica: giunto all’altare il celebrante si prostra a terra, a significare il doloroso pentimento per il peccato del mondo, che ha spezzato la comunione e frantumato l’amore. E a implorarne il perdono. Una preghiera ora s’innalza: «Ricordati, Padre, della tua misericordia».

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Risuona dall’ambone la Parola di Dio. Il quarto carme del servo sofferente (cfr Is 52,13-53,12), che rilegge nel Cristo Signore il profilo del servo tracciato dal profeta: canto di dolore e di speranza, di sconfitta e di sorprendente vittoria, di patimenti e di gioia sommessa. Il servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato; sfigurato però il suo volto, nessuna bellezza vi risplende; disprezzato dagli uomini, è da tutti scansato. Colui che abbiamo conosciuto “buon pastore” si fa agnello condotto al macello e pecora muta di fronte ai suoi tosatori. Si è caricato delle nostre sofferenze e ha portato su di sé il nostro peccato; ma le sue piaghe ci hanno guarito. Così gli saranno donate le moltitudini e su di lui si poserà la luce dello Spirito. E poi la lettera agli Ebrei (cfr Eb 4,14-16; 5,7-9), che proclama Gesù, il Figlio di Dio, sommo sacerdote perché condivide le nostre debolezze e piange le lacrime degli uomini. Per questo rende salda la nostra fede, ci avvolge di misericordia e intride di grazia la nostra vita. Ѐ il miracolo dell’amore, narrato nel lungo racconto della Passione secondo l’evangelista Giovanni (cfr Gv 18,1-19,42). Gesù e i suoi discepoli sono in un giardino, come in un giardino Dio aveva posto l’uomo plasmato dalle sue mani (cfr Gen 2,8). Il luogo della vita diviene luogo di morte, perché da quella morte possa sorgere la pienezza della vita nuova. Adam, l’umanità cacciata dal giardino (cfr Gen 3,24), ritrova nel nuovo Adam, il Signore Gesù, la fragranza di quel giardino da cui mai più sarà cacciato.

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Chi cercate? Gesù, il nazareno. Sono io! Ѐ lo svelamento del “nome”, che Dio aveva consegnato a Mosè (cfr Es 3,14): il figlio dell’uomo si dichiara Figlio di Dio e parla le parole del Padre. Ma i suoi interlocutori non comprendono. Sei tu il re dei giudei? Il mio regno non è di questo mondo. Dunque tu sei re. Tu lo dici: io sono re! Ѐ un re flagellato, la sua corona e fatta di spine, addosso un mantello di porpora. Lo schiaffeggiano e lo scherniscono: Salve, re dei giudei! Eppure sulla sua croce un cartiglio dichiara, in tre lingue: “Gesù, il nazareno, il re dei giudei”. E questo non è scherno. Siamo di fronte al paradosso dell’amore, proclamato dal Vangelo. Ѐ compiuto! E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Il Dio inaccessibile, l’Assolutamente Altro, la cui presenza in mezzo al suo popolo la tradizione giudaica custodiva nel Tempio e proteggeva attraverso un velo, ora si rivela tutta nello squarcio di quel velo, di cui ci riferisce la versione dell’evangelista Marco: «Il velo del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo» (Mc 15,38). La morte del Figlio ci svela la vicinanza del Padre e ci fa dono della vita di figli.

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Per questo l’Assemblea liturgica innalza la preghiera universale e implora per tutti perdono e salvezza: alla santa Chiesa sia concessa l’unione e la pace; ai suoi ministri la fedeltà del servizio; ai catecumeni l’intelligenza della fede; l’unità nell’unica Chiesa ai cristiani di ogni Chiesa; al popolo della prima alleanza la pienezza della redenzione; ai non cristiani la luce dello Spirito; la rettitudine del cuore a chi non crede; giustizia e saggezza a chi governa i popoli; consolazione e gioia a coloro che soffrono.

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Ѐ la vita nuova che sgorga dalla Croce. Portandola in processione lungo la navata centrale, il ministro canta: «Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo!»: E l’Assemblea: «Venite, adoriamo!». A quell’invito il popolo santo di Dio risponde baciando quel Legno, mentre si intonano gli antichi “lamenti del Signore”: Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta. Ti ho guidato fuori dall’Egitto, nel deserto ti ho sfamato e dissetato, ti ho condotto in un paese fecondo, ti ho posto in mano uno scettro regale e tu hai preparato la croce al tuo Salvatore, hai posto sul suo capo una corona di spine e mi hai sospeso al patibolo della croce. Il popolo riconosce la sua colpa e implora: Dio santo, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi! E scioglie un inno a quella Croce, albero nuovo che cancella il male dell’albero antico (cfr Gen 3,1-6), rinnova l’universo e salva ogni vita.

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Viene ora distribuito il pane eucaristico, segno del perdono e della comunione ritrovata. Il celebrante invoca: «Scenda, o Padre, la tua benedizione su questo popolo […]; venga il perdono e la consolazione, si accresca la fede, si rafforzi la certezza della redenzione eterna».
L’Assemblea si scioglie in un pensoso silenzio, attendendo con fiducia la gioia della Pasqua.

Erina Ferlito

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