Entriamo nel cuore dell’anno liturgico, che è il grande Triduo pasquale. Con la liturgia della messa in Coena Domini, vediamo Gesù che anticipa il sacrificio cruento della croce con i segni del pane spezzato e del vino versato, perché il suo Corpo eucaristico e il suo Sangue eucaristico restassero ad assicurarci la sua presenza nel corso dei secoli. Quanto è grande per noi la ricchezza di Lui nella Ss. Eucaristia! Nella Domenica delle Palme, liturgia di apertura della Settimana Santa, la ‘grande settimana’, Gesù è salito a Gerusalemme accompagnato dai Dodici e osannato dalla gente, ma solo Lui aveva la consapevolezza che quella Pasqua non era come le altre; quella era la Pasqua del compimento della sua Ora.
La Settimana Santa ci propone la fecondità di gesti inediti, di segni essenziali… lo abbiamo visto In groppa a un asino. L’asino era l’animale mite che i primi re d’Israele cavalcavano in tempo di pace, al contrario dell’uso del destriero o del cocchio dei tempi di guerra. Natanaele, uno dei suoi, lo aveva riconosciuto e proclamato «re d’Israele» (cfr Gv 1,49) e Gesù fa il suo ingresso solenne a Gerusalemme acclamato dalla folla come «re d’Israele» (cfr Gv 12,13); Egli è il re di giustizia e di pace ma, a breve, lo vedremo condannato a morte e inchiodato in croce come «re dei Giudei» (cfr Gv 19,3.12-15.19-21), un re dalle coordinate dissonanti rispetto al gradimento della folla… e anche in questo gesto si compiono le Scritture. Nel Vangelo di Giovanni echeggiano, infatti, le parole del profeta Zaccaria: «Come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina».
L’osanna della massa non dice accoglienza vera, il sapore della “sequela” è un altro! Le autorità religiose lo vogliono eliminare, e i suoi discepoli non comprendono il dramma del chicco di grano che sta per morire: ecco lo sfondo sul quale verranno gettate le pennellate scure della Passione. Ormai i discorsi non sono più necessari e Gesù riassume tutto nella semplicità, con azioni elementari, con poche parole perché i suoi potessero capire… anche se non subito, ma dopo, solo dopo. La coscienza di Gesù, infatti, non è intorpidita o condizionata, la sua è una coscienza attenta, vigilante, esercitata a comprendere le esigenze della volontà di Dio e ormai si avvia verso la morte. Gesù vive già il sacrificio che lo attende… la sua coscienza è illuminata e affidata al Padre e si avvia verso la croce come l’appuntamento per il quale si è incarnato. Di fronte a Gesù, in quei giorni di Pasqua, c’è dunque l’attesa di Dio suo Padre e vi risponde con l’Eucaristia.
Eukaristésas è la parola che dice ringraziamento, un “amen” convinto che scaturisce dalla sua fede incrollabile e dal suo fedele amore per il Padre. Gesù non fa lunghi discorsi quella sera. Gli esegeti osservano, infatti, che i cosiddetti ‘discorsi di addio’ che troviamo in Giovanni, sono sì la memoria di parole sue, ma parole rivelate da un Kýrios glorioso e risorto alla sua Chiesa, e non parole dette prima della Passione. Gesù fa semplicemente gesti; dice solo nell’eloquenza di quei gesti che caratterizzarono quella sera e che riscaldarono le menti e i cuori dei discepoli. San Paolo ce ne dona un meraviglioso squarcio di luce e anche a noi è concesso partecipare alla cena di Gesù con i suoi: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”.
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». Quella Pasqua tanto desiderata sarebbe stata l’ultima con i suoi e Gesù dona loro qualcosa che questi potevano fare in sua memoria. L’Eucaristia è la sola e definitiva risposta di Gesù a Dio e all’umanità intera, la sintesi del suo amore donato sino alla fine, che va oltre ogni logica, ogni comprensione… Felici le mura del Cenacolo che videro inermi lo svolgersi dell’ultimo stare di Gesù con i suoi e che ancora ne custodiscono silenziosamente la memoria: «Benedetto questo luogo così piccolo dove spezzato fu il pane del covone benedetto, dove pigiato fu il grappolo di Maria». Per gli ebrei il primo covone d’orzo, come l’agnello di un anno, dovevano essere offerti il giorno dopo lo Shabbat della Pasqua, ossia il primo giorno della settimana, quello in cui Gesù è resuscitato. Così Gesù si presenta al Padre suo, primo covone della nuova messe di cui Egli stesso s’è fatto semente, che ha irrigato con le sue lacrime e il suo sangue e che ora il Padre miete per riempire i suoi granai, donando la salvezza a tutti gli uomini. «Guarda come si offerse a Dio Padre quando divenne un uomo come noi, prendendo la nostra rassomiglianza: come per le primizie della nostra falce… si è offerto per tutti, per dare la vita a tutti ed essere presentato a Dio Padre come il primo covone della messe». Il Vangelo di Giovanni attira la nostra attenzione sull’altro gesto che Gesù ha compiuto durante quell’ultima cena, il gesto della lavanda dei piedi. Il gesto eucaristico e quello della lavanda dei piedi vogliono entrambi manifestare l’amore di Gesù, svelare l’amore di cui Egli è stato capace. Gesù per entrambi i gesti dà dei comandi: «Fate questo in memoria di me», oppure: «Vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Due gesti, due memorie comandate per una sola realtà: Gesù che dà la vita per noi.
La lavanda dei piedi è descritta da Giovanni con precisione e con una lentezza che ci invita a sostare anche sui particolari: Gesù si alza da tavola, depone le vesti, prende l’asciugamano, se lo cinge ai fianchi, versa l’acqua nel catino, lava i piedi ai discepoli. Gesù opera… Vi è un richiamo alla primordiale creazione contenuta nel libro della Genesi… Gesù fa come Dio fa e dispone la nuova creazione. Il fare di Gesù è il fare dello schiavo verso il suo signore; ma è anche il gesto che poteva essere fatto dal discepolo verso il suo rabbi; ed è anche il gesto che veniva compiuto da parte del figlio verso il padre anziano. Erano solamente questi i casi in cui era possibile quel gesto. Un gesto, dunque, che è di umiliazione, ma che può anche essere di relazione, di affetto. E Gesù si fa schiavo, si fa discepolo, si fa figlio. Ecco lo scandalo di Pietro: il gesto compiuto da Gesù dice la sua identità e Pietro, da buon ebreo, non può accettare una tale identità per il suo Maestro e Signore. Così egli protesta e, non accettando l’opera di Gesù, non accetta neppure l’opera di Dio. Gesù deve dunque dirgli: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Con quel gesto Gesù fonda la relazione essenziale tra lui e il discepolo, tra lui e il credente futuro, tra lui e il cristiano. Per entrare in relazione con Gesù è necessario lasciarci lavare i piedi… La parte più sporca di noi, posta a contatto con la terra, ci dice che siamo fatti della stessa materia che calpestiamo. Lasciamo che Gesù tocchi i nostri piedi, lavi le nostre impurità, ci deterga dalle nostre miserie. Dopo il gesto e dopo il dialogo con Pietro, Giovanni ci parla di un dialogo avvenuto anche con i discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi?». Qui però ciò che è richiesto nella comprensione non riguarda solo l’identità di Gesù, ma soprattutto il piano delle relazioni che i discepoli devono instaurare tra di loro.
La lavanda dei piedi operata da Gesù diventa un esempio, un paradigma per i discepoli; e se ci lasciamo lavare i piedi da Gesù, se ci lasciamo amare così come siamo, saremo capaci di lavare anche i piedi dei nostri fratelli, di toccare la loro sporcizia senza scandalizzarci. Ecco come dalla ede/fiducia/affidamento a Gesù scaturisce il fare… non un fare qualsiasi, ma un operare che riprende quello stesso operare di Dio. «Imitate quello che Gesù ha operato, amate quello che egli ha amato, riamate in Lui la vostra natura». E la nostra natura è riconoscibile in quell’opera meravigliosa che è ogni uomo, in uno sguardo di profondo amore e benevolenza che affonda le radici in quel vedere di Dio come l’uomo era cosa molto buona, così buona da sacrificarsi per suo amore in una morte ignominiosa.
Le clarisse del Monastero Sacro Cuore di Alcamo
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(La terza puntata sarà online venerdì 3 aprile, alle ore 7)