«Un altro feroce assassinio nella nostra Palermo e, questa volta, nei riguardi di un inerme sacerdote che ha svolto in questo quartiere di Brancaccio la sua intensa attività di apostolo, di evangelizzatore, di promotore di tanta azione di progresso spirituale, morale, civile, sociale. È morto per questo: per avere avuto fame e sete di quella giustizia divina e umana, che vuole dare a Dio quello che è di Dio e agli uomini quello che loro spetta, secondo gli ordinamenti, le esigenze e i bisogni dei singoli e delle comunità. È morto per questa sete di cose giuste e di queste, nella nostra città, ce n’è tanto bisogno». Così l’inizio dell’omelia per i funerali di don Pino Puglisi che il 17 settembre 1993 il cardinale Salvatore Pappalardo celebrò nella chiesa di Brancaccio, il quartiere dove il parroco venne ucciso il 15 settembre.
«Come gli antichi profeti, don Giuseppe era una sentinella di Dio in una trincea avanzata. Ascoltando lui – sono ancora le parole del cardinale Pappalardo – la parola di verità che viene dall’Alto: la parola di Dio, la trasmetteva, doveva necessariamente trasmetterla a tutti, quale parola di vita, ed in modo particolare a quanti devono essere richiamati da una condotta empia ed ingiusta, da una rozza cultura di arretratezza, di prepotenza e di morte, perché tornino ad onore Dio ed operare il bene». Ancora Pappalardo: «Non è con arroganza che don Puglisi svolgeva il suo ministero di sacerdote, di sentinella di Dio, ma con mansuetudine, purezza di cuore, misericordia e bontà: qualità queste che non impedivano, anzi fondavano la sua risolutezza e fortezza nel compiere il bene e nel coinvolgere altri perché se ne facessero promotori insieme con lui. Le Beatitudine proclamate dal Signore avevano una grande risonanza nel suo cuore, una effettiva applicazione nella sua vita».
Poi il passaggio di Pappalardo sugli assassini: «Come potrebbero essere considerati membri della Comunità cristiana quanti, insieme con tanti altri comandamenti, violano quello supremo dell’amore, uccidendo il proprio fratello? Sono cristiani, ma fedifraghi, sono cristiani ma traditori, disonorati in se stessi e che gettano disonore sulla Comunità cristiana e sulla Chiesa stessa». Ancora Pappalardo in quella chiesa gremita: «Occorre lavare il sangue di don Puglisi, occorre lavare nel suo sangue, la propria coscienza. Non basta gettare, come è stato fatto, qualche secchio di acqua sul terreno che ne era inzuppato, ma occorre un’altra forma di lavacro, un’altra azione purificatrice della propria coscienza e della propria vita. E questo dalla parte di tutti». È ancora Pappalardo a parlare: «Non si può combattere e sradicare la mafia se non è il popolo tutto che reagisce alla sua presenza e alla sua prepotenza. È la comunità civile e ancor più quella cristiana che devono reagire coralmente, non solo con significative manifestazioni, ma assumendo atteggiamenti di pubblica aperta ripulsa, di isolamento, di denunzia e di liberazione nei riguardi di ogni forma di degenerazione e di mafia a tutti i livelli».
A conclusione dell’omelia così il cardinale Pappalardo: «Molto si confortano le assicurazioni di preghiera che riceviamo da ogni parte, nell’auspicio che il sangue dei martiri, mescolato al sangue di Cristo, possa essere segno di cristiani autentici, perché questa nostra Chiesa, con il suo coraggio, con la sua fedeltà a Cristo, possa essere profezia di tempi nuovi, annunzio di verità, testimonianza di amore che vince l’odio, ma che vuole adempiute le esigenze della giustizia, tanto di quella divina quanto di quella umana».
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omelia_pappalardo_PRIMA_PARTE
omelia_pappalardo_SECONDA_PARTE
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