Esplorare «l’identità sacerdotale e l’eroico esercizio delle virtù» di don Giuseppe Puglisi «significa indicarle al mondo, con la sincera speranza di renderle fruibili nell’uso quotidiano». Lo afferma monsignor Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione, nell’ultimo libro Padre Pino Puglisi beato. Profeta e martire (San Paolo). Bertolone è originario di San Biagio Platani ed è Vescovo dal 2007. La sua prima sede è stata la Diocesi di Cassano all’Jonio.
Quando accettò la nomina di postulatore, la causa per il riconoscimento del martirio di don Puglisi aveva subìto una battuta d’arresto. Quali indagini ha svolto per dare una risposta ai dubbi della Congregazione per le Cause dei Santi?
«Sono stato designato postulatore nell’agosto 2010, subentrando a monsignor Domenico Mogavero, che con il collaboratore esterno don Mario Torcivia aveva lavorato con amore e passione. Nutrivo molto timore, ma ero fiducioso nell’aiuto dello Spirito di Dio nel rendere un servizio alla nobile Causa ed alla Chiesa di Palermo. Mi era stato affidato l’incarico di tentare di dare risposta ad alcune problematicità sollevate dalla Congregazione per le Cause dei Santi il 12 dicembre 2006, in particolare se don Puglisi fosse stato ucciso per l’esercizio del ministero sacerdotale o per altre ragioni. Nuove testimonianze, l’accesso a documenti inediti e il contributo di molti studiosi hanno consentito di far luce sui dubbi esternati».
Perché è possibile affermare che i mafiosi agirono in odio alla fede?
«Puglisi fu ucciso perché, col suo essere prete, semplicemente prete, proponeva non una sfida, ma la costruzione di un’alternativa civile e cristiana, che svuotava dall’interno il potere mafioso e lo spazio della mafiosità. Il suo omicidio, fu acclarato in sede civile e canonica, era stato un atto contro la fede che don Puglisi professava. Del resto, per come comprovato anche dalle sentenze penali ormai passate in giudicato, i mandanti erano perfettamente consapevoli di colpire un sacerdote che esercitava il ministero sacerdotale, “predicando… tutta a iurnata”».
La Chiesa siciliana ha più volte alzato la voce contro mafia e illegalità. Adesso avrà il primo martire di mafia. Quale portata avrà questo evento per la cultura siciliana?
«Il martirio è la forma più alta di santità. Per un cristiano il punto più alto della memoria di un’esistenza è l’elevazione agli onori degli altari. Quella morte, così tragica e dolorosa, è un seme insuperabile di vitalità. È la sfida del futuro della Chiesa siciliana e non solo: la morte di don Puglisi si pone come luminoso esempio di vita sacerdotale. Il suo sangue innocente è stato come una trasfusione per le coscienze indifferenti: esso richiama tutti (confraternite, comitati feste, consigli pastorali e affari economici, sovente a contatto con forme di religiosità popolare che si intersecano con la religiosità pagana della mafia) ad un nuovo approccio al fenomeno mafioso e, quindi, ad una decisa ricerca degli strumenti ecclesiali e pastorali più idonei a formare coscienze veramente cristiane che operino evangelicamente. Dopo Puglisi nulla può essere più come prima nella valutazione storica e sociologica delle mafie dentro e fuori la Chiesa».
Alessandra Turrisi per Condividere