Certamente il fatto che per questi tre anni non ci saranno padrini e madrine di battesimo e cresima avrà suscitato dibattiti, domande, curiosità, forse delusioni o anche consensi; avrà fatto notizia! Ora si tratta di passare dalla notizia alla riflessione, al ripensamento, alla profondità della questione testimoniale ed educativa che questa frattura con il passato provoca e forse spera. La mia non è certamente una interpretazione autentica delle ragioni di questa scelta da parte del nostro Vescovo, ma solo un tentativo di non cogliere in superficie una novità di frattura e di interruzione di una prassi consolidata per la vita ecclesiale e sociale della nostra gente. Parto da due semplici dati per riflettere: è una scelta che, gradualmente stanno facendo diversi Vescovi e diocesi in Italia; qui ricordo solo Spoleto e Agrigento, che manifesta ormai il venir meno dell’esperienza dei padrini e delle madrine secondo quella missione testimoniale, che ne è la ragione, della cura e dell’accompagnamento per la crescita umana e di fede dei figliocci.
Inoltre, la figura dei padrini e delle madrine che sparisce per questi anni si mette in fila con molte figure pubbliche di cristianesimo che sono ormai agli sgoccioli, pensiamo ad esempio ai membri delle associazioni cattoliche, o alle forze aggregative sociali di ispirazione cristiana, come le confraternite o altre espressioni. Abiti, riti, manifestazioni pubbliche di cristianesimo spesso non vengono poi sostenute da comportamenti coerenti e testimoniali di quanto professato o celebrato, ad esempio, in un determinato contesto, come quello del portare a spalla una immagine sacra. Cito come esempio ancora il fatto che non ci sono cortei funebri a piedi nelle nostre città.
Ora questi due dati, letti in analogia, cioè custodendo la loro differenza nella loro somiglianza, dicono in maniera forte di una autentica frattura che c’è stata tra cristianesimo e cultura comune (cristianità), forse più chiaramente tra sacramenti e società. Di questa frattura forse dovremmo seriamente occuparci, per ripensare una modalità della presenza testimoniale della fede nel dibattito e nella vita pubblica, per riscoprire la forza di grazia dei sacramenti di innervare da dentro il vissuto delle città come bene e come grazia. Il cristianesimo, la fede, non possono essere ridotti da nessuna forma culturale, sociale o politica, semplicisticamente a una questione privata. Questa è la sfida nascosta che dobbiamo assumere, anche dentro la frattura e la provocazione del venire meno di un’altra figura pubblica di cristianesimo.
I sacramenti, che nella memoria della fede recente, segnavano anche i momenti veri di passaggio della crescita e dello sviluppo umano, pensate ai passaggi legati ai battesimi, o alla prima comunione, o alla cresima, o al matrimonio, oggi come vengono percepiti, come vengono vissuti? La questione vera, dunque, è la consapevolezza della relazione tra la grazia e la vita; la vita concreta, quella segnata dalle gioie e dai dolori, dalle vittorie e dalle sconfitte, dalla speranza e dalla delusione. La questione vera è la vita teologale, di cui il battesimo ci ha fatto dono. È il tempo ora di ripensare a un modo, meglio a uno stile di cristianesimo che diventi per tutti occasione favorevole della memoria della vita buona del Vangelo. È il tempo ora di ripensare a uno stile comunitario, e non solamente personale e individuale, di esserci cristianamente nelle città, diventando seme e concretezza della fraternità. «I cristiani stanno al mondo come l’anima nel corpo», così recita la Lettera a Diogneto, che sembra scritta per noi. Sentirsi profondamente e autenticamente (non perfettamente) cristiani, cioè allo stesso modo del Cristo.
don Vito Impellizzeri per Condividere