[VENERDÌ SANTO] Dal sepolcro vuoto risplende la luce del Risorto

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«La Parola si consuma per noi nel silenzio». Questa frase, tratta dall’inno dell’Ufficio delle letture della Liturgia delle ore in francese, sintetizza con la forza espressiva del linguaggio poetico il mistero del secondo e terzo giorno del Triduo pasquale. La Parola che si dona senza riserve rimanda alla croce e all’ultimo grido di Gesù, nel racconto del vangelo di Matteo (27,50) e del Vangelo di Marco (15,37). Ma è il Vangelo di Giovanni a sottolineare che sulla croce tutto è ormai giunto al suo pieno compimento: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!” (in latino consummatum est). E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (19,30).

La Parola adesso tace perché ormai ha detto e ha fatto tutto. Poco prima aveva pronunciato le sue ultime volontà: alla Madre aveva affidato Giovanni il discepolo fedele fin sotto la croce e a questi la Madre (cfr Gv 19,26-27); al malfattore che gli chiedeva di ricordarlo nel Regno, aveva donato il perdono e la salvezza (cfr Lc 23,39-43). Ora gli rimangono soltanto due cose: la croce, altare del sacrificio verso cui attira tutti a sé, e il sepolcro vuoto, custodia sicura, ma temporanea, dalla quale esploderà il trionfo della risurrezione. Oggi, Venerdì santo, la croce, con il suo silenzio, sta al centro dell’Azione liturgica e invita tutti a farcene carico, novelli cirenei, alleggerendo il peso dei crocifissi del nostro tempo con i quali si identifica il Cristo crocifisso del Golgota.

E questo silenzio avvolge in forma ancora più intensa l’intera giornata del Sabato santo, unico giorno dell’anno liturgico nel quale non è consentita alcuna celebrazione. Con alcune pennellate evocative l’autore ignoto di una Omelia sul Sabato santo dà il senso di questo tempo irrepetibile della storia: «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano». Il silenzio dalla croce si allunga fino al sepolcro, due luoghi assai vicini, ma fino a quel momento estranei tra loro. È un silenzio di suoni e parole, ma è anche un silenzio dei luoghi.

Si è spento il clamore scomposto della folla che aveva cercato lo spettacolo; si è affievolito il pianto di dolore dei pochi intimi sotto la croce; si è esaurito lo sferragliare di catene e tenaglie che aveva accompagnato la deposizione dalla croce del Santo; tace la pietra rotolata a chiudere il sepolcro. Finalmente sul colle è tornato il silenzio che teneramente carezza il corpo martoriato del Salvatore Crocifisso. Resta solo la fede e l’attesa del compimento della promessa: «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). Ma non sarà una lunga attesa; soprattutto non sarà un’attesa delusa.

Anche la Chiesa, noi Chiesa di Cristo, rispettiamo questo silenzio con devozione contemplante e orante e con esso accompagniamo il Figlio che torna davanti al Padre, come era dal principio secondo il vangelo di Giovanni (cfr 1,1-2), aspettando che il Padre lo risusciti con la potenza dello Spirito Santo (cfr At 2,24.32; 4,10). E nel silenzio anche noi attendiamo nella Veglia pasquale, la madre di tutte le veglie, di gioire, di inneggiare al Signore risorto e di risorgere con Lui.

Domenico, Vescovo

Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro.
Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro.
Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro.
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