La Quaresima si conclude con la Settimana santa o, meglio, con i primi quattro giorni e mezzo di questa Settimana. Stando al racconto della pellegrina Egeria che visitò Gerusalemme intorno al 400, lì meglio che altrove era possibile seguire lo svolgimento storico degli eventi della Pasqua del Signore. Lì tutto parlava di Lui. Di fatto Egeria ci fornisce un resoconto dettagliato di una liturgia ricca e sviluppata che ogni giorno celebrava un aspetto particolare del mistero pasquale. Suggestiva, in questo suo Itinerarium, è la descrizione di come si ricostruì l’entrata di Gesù a Gerusalemme in apertura dei riti della “Grande Settimana”. A metà pomeriggio il popolo si riuniva attorno al Vescovo sul monte degli ulivi, si leggeva il racconto evangelico e si scendeva dalla collina verso la città, fino alla basilica dell’Anastasis, dove si celebrava un lucernario. Da Gerusalemme la processione si diffuse in tutto l’Oriente, dove la domenica d’apertura della “Grande Settimana” divenne la “Domenica delle Palme”.
A Roma, invece, nello stesso periodo, la sesta domenica di Quaresima era chiamata di “passione”. San Leone Magno ricorda che si leggeva il racconto della Passione secondo Matteo. Il Papa commentava la prima parte del racconto, rimandando al mercoledì successivo la spiegazione della seconda parte. Sarà soltanto tra VII e VIII secolo che il rito di Roma si unirà a quello di Gerusalemme passato attraverso le Gallie, per cui si troverà la dicitura Dominica in Palmis de Passione Domini o semplicemente Die dominico ad palmas. Per la benedizione dei rami bisognerà attendere ancora un paio di secoli. Purtroppo nel corso della storia cristiana e con l’incrociarsi dei riti la liturgia non sempre è andata esente dall’essere intesa come un dramma da rappresentare, perdendo di vista il suo carattere sacramentale e misterico. La tendenza a una riduzione teatrale ha avuto un largo influsso, soprattutto sull’animo popolare, influsso che permane tuttora.
La riforma liturgica del Vaticano II non ha fatto altro che cogliere il meglio degli elementi teologici e spirituali contenuti nei riti più antichi dell’Occidente, emendandoli dagli elementi culturalmente più retrivi e anacronistici. Il messale del Beato Paolo VI, attualmente in uso, lega in maniera semplice e spiritualmente efficace l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme e la memoria della sua Passione; l’annuncio e la figura del trionfo della sua Risurrezione e l’offerta redentiva che segna la liberazione dell’umanità dal peccato e dalla morte. Il rito processionale intende dare rilievo di fede al riconoscimento messianico di Cristo da parte del popolo radunato e il segno esterno della processione acquista tutta la sua rilevanza nella misura in cui la comunità cristiana è stata formata con l’annuncio della Parola di Dio; la processione non è che un atto di omaggio in onore di Cristo Re. Il rito di benedizione, poi, alquanto semplificato rispetto al passato, è finalizzato alla processione di un popolo sacerdotale che accompagna il suo Signore verso il Calvario, predisponendolo all’ascolto della proclamazione liturgica della Passione e alla sua attuazione sacramentale nella liturgia eucaristica. Ogni cognizione scaramantica o superstiziosa del “ramo” va, pertanto, opportunamente catechizzata ed evangelizzata.
I testi eucologici della Messa, tratti dagli antichi Sacramentari della Chiesa romana, ci presentano il Mistero di Cristo come il mistero di una morte vinta, il mistero della vita che vince mediante la morte. Sono tutti improntati alla memoria della Passione del Signore, ma senza disgiungerla dalla gloria della Risurrezione:
“Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua Risurrezione ci acquistò la salvezza” (embolismo del prefazio).
È necessario, allora, un orecchio attento! La liturgia, nella sua pluralità di linguaggi, parla alle menti, ai cuori e ci fa entrare nella vita di Cristo, e per Lui, nell’unità dello Spirito, ci riconduce al Padre. Non si tratta di fare un pio ricordo o di mimare un avvenimento del passato, ma di rendere presente “oggi” l’avvenimento attraverso la celebrazione liturgica e viverlo nella prospettiva della fede.
don Leo Di Simone per Condividere