Nei documenti più antichi la celebrazione della Pasqua si presenta essenzialmente come un digiuno rigoroso di due o più giorni seguito da un’assemblea notturna di preghiera che si conclude con la celebrazione eucaristica. Ai primi cristiani l’obbligo di partecipare a tale assemblea appariva fondamentale, tanto che Tertulliano vedeva la difficoltà per una donna cristiana sposata ad un pagano che questi la lasciasse uscire di notte per partecipare alla veglia. La Pasqua era il passaggio dal digiuno alla festa nel corso della notte santa in cui lo Sposo, che era stato rapito, veniva restituito alla sua sposa. Digiuno, riunione della comunità dei credenti, veglia di preghiera, lettura dell’Antico e del Nuovo Testamento, celebrazione eucaristica, agapi fraterne nella gioia del Cristo risorto: questi erano gli elementi fondamentali della veglia pasquale nella Chiesa antica.
Ben presto sulla scorta dell’insegnamento di san Paolo che ricorda come il cristiano è immerso nella morte di Cristo, seppellito con Lui per aver parte alla vita nuova (Rm 6,3-5) fu quasi automatico legare alla Pasqua la celebrazione del battesimo. Con le conversioni in massa favorite dalla pace costantiniana la notte di Pasqua divenne la grande notte battesimale dell’anno, al termine della quaresima in cui si svolgevano le tappe del catecumenato. Fu allora che si elaborarono i riti battesimali della veglia: processione al fonte, preghiera di benedizione dell’acqua, deposizione delle vesti dei catecumeni, triplice immersione accompagnata da triplice professione di fede, unzione crismale e consegna della veste bianca, confermazione da parte del vescovo e ritorno in basilica per la celebrazione eucaristica dove i neofiti partecipavano per la prima volta al banchetto pasquale. Leggiamo tutto questo nelle catechesi mistagogiche di Ambrogio, Agostino, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo… Quella fu l’età d’oro della Veglia pasquale e dell’iniziazione cristiana.
Da questi Padri della Chiesa nacquero le preghiere più belle della liturgia pasquale; l’Exsultet anzitutto che viene attribuito ad Ambrogio e ad Agostino. L’elogio della luce nuova, accesa da un fuoco nuovo per una liturgia lucernale, scaturiva da un’esigenza pratica di illuminare la notte ma diventava occasione mistagogica per illustrare l’opera di “Cristo luce del mondo”. La notte più santa dell’anno doveva aprirsi con una solenne festa della luce. Essa riassumeva le “Quattro notti” del Targum palestinese: quella della creazione del mondo, del sacrificio di Abramo, dell’Esodo e della venuta del Messia. Sono i temi utilizzati dai cristiani per selezionare le letture veterotestamentarie che dovevano alimentare la veglia e molti di essi passarono anche nell’Exsultet che canta la “vera notte” in cui il “vero Agnello” consacra i suoi fedeli all’amore del Padre, mentre il cero offerto a Dio simboleggia la fede che mai si spegne e che attende di essere rischiarata ulteriormente dalla “stella del mattino” che è “Cristo risuscitato dai morti”.
La Veglia pasquale è la poesia della fede che si esprime e si professa nell’azione liturgica, poiché la Pasqua del Signore è il mistero che la liturgia celebra nella sua globalità. La liturgia è il vaso prezioso in cui il mistero si riversa e si contiene pur essendo incontenibile. Per questo la veglia è modello esemplare di ogni celebrazione liturgica, dove ogni singolo elemento rituale vive in dimensione relazionale e simbolica, in un equilibrio che ha una sua dimensione pneumatica in quanto riflesso della Rivelazione e dell’autentica tradizione della Chiesa.
Nel 1951 papa Pio XII rispondeva positivamente a un fervente voto del Movimento Liturgico autorizzando, ad experimentum, la celebrazione notturna della Veglia pasquale, rendendola poi obbligatoria nel 1955. I riti furono semplificati sfrondando tutto ciò che non corrispondeva alla vera tradizione, tenuto conto che tra il VII e il XVII secolo tutto il loro simbolismo risultò falsificato; basti pensare al fatto che si cantava della “notte gioiosa” dell’Exsultet a mezzogiorno del sabato santo che per secoli segnò l’inizio del giorno di Pasqua. Così si stabilì che la benedizione del fuoco doveva avvenire fuori dalla chiesa, in mezzo ai fedeli che subito dopo sarebbero entrati nell’edificio al seguito del cero pasquale e con le candele accese da esso, come si faceva a Gerusalemme nel V secolo. Tutti i riti furono adattati in modo da consentire al meglio la partecipazione del popolo di Dio.
Il Messale del 1970 proseguì l’adattamento dell’Ordo della Veglia pasquale seguendo quello del 1951: l’ora della celebrazione fu stabilita dopo il tramonto del sole del sabato; dalla liturgia della Parola fu eliminata la discontinuità che esisteva fino ad allora tra le letture dell’Antico e del Nuovo testamento; dopo l’omelia fu inserita la grande liturgia battesimale e finalmente la celebrazione eucaristica. Ma quello che più conta è stata la restituzione alla Veglia pasquale del suo carattere notturno. La ragione vera del carattere notturno di questa celebrazione sta nella significazione del “passaggio”, la realtà pasquale che essa è chiamata ad esprimere con i “santi segni” della liturgia. Il simbolismo del “passaggio” dalle tenebre alla luce, dalla notte al giorno, o ancora, il giorno che vince le tenebre della notte esprime, sul piano simbolico, meglio di qualsiasi concetto il mistero più profondo della Pasqua: il passaggio di Israele dalla schiavitù alla libertà; il passaggio di Cristo dalla morte alla vita gloriosa; il passaggio dei credenti in Cristo dal peccato alla vita divina. Ciò che è cantato liricamente nel preconio pasquale, vero capolavoro di poesia liturgica.
don Leo Di Simone per Condividere