[VERSO LA PASQUA/2] Nella croce il tradimento umano e l’amore di Dio

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«Più ancora che l’Ecce Homo (19,5) – il trafitto elevato sulla croce viene ad essere la definitiva icona da meditare, vista e solennemente rappresentata da Giovanni 19,32, l’Ecce Deus, l’ultima rappresentazione ed interpretazione di Dio che nessuno ha visto». (H. Von Balthasar). La solenne messa in Coena Domini del Giovedì Santo e l’adorazione notturna del Corpo di Cristo hanno predisposto i nostri cuori ad entrare in sintonia con i sentimenti del Figlio di Dio, il quale avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1).

In questo giorno in cui l’altare è spoglio, i tabernacoli rimangono vuoti e si respira un’aria di lutto e di tristezza, la Chiesa volge il suo sguardo a colui che è stato trafitto (Gv 19,37), al Cristo Crocifisso, il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 44), come lo definisce la Sacra Scrittura. Il calvario della sua passione e della sua crocifissione sono posti al centro della celebrazione odierna, nella quale avviene lo svelamento della croce e la sua adorazione. Tuttavia non basta fermarsi alla contemplazione estatica del mistero della sua passione, ma è importante cercare di scorgere, tra il sangue delle sue piaghe e le spine della sua corona, le motivazioni teologiche della sua passione d’amore. H. U. von Balthasar nel dare un’interpretazione teologica della Crocifissione di Cristo fa riferimento alla  teologia della consegna, la quale, da una chiave ermeneutica di lettura della crocifissione del Figlio, presentandola a noi come un atto di consegna d’amore che di Lui fa il Padre, come consegna attiva che Cristo fa di se stesso, e come consegna concreta di Gesù da parte di Giuda, che acquista però un ruolo subordinato.

Siamo qui di fronte alla contraddizione della croce: si incontrano in essa il tradimento umano e l’amore di Dio che consegna il Figlio, e ciò ci spinge a considerare quanto il morire in croce, come un malfattore, sia veramente un gesto folle di un Dio pazzo d’amore per le sue creature. Secondo la dottrina dell’antico testamento, l’uomo peccatore e debitore verso Dio, doveva offrire a Lui sacrifici per poter avere nuovamente accesso alla comunione con Dio, ma la crocifissione di Cristo sconvolge totalmente il concetto di giustizia presente nel popolo d’Israele. Avviene il cosiddetto giudizio della croce: «Dio, in quanto è l’uomo Cristo, prende su di sé tutto il peccato di Adamo (Rm 5,12-21) per essere consegnato (Rm 4,25) come concretizzazione corporale del peccato e dell’inimicizia (2Cor 5,21; Ef 2,14)  al giudizio di condanna da parte di Dio (Rm 8,3) e seppellito per essere risuscitato da Dio per la nostra giustificazione (Rm 4,25)».

La contemplazione del Cristo Crocifisso, che mostra a noi l’infinita misericordia del nostro Dio che non ci amò per scherzo (come Lui stesso rivelò alla mistica Sant’Angela da Foligno), ha spinto la Chiesa a scegliere di vivere questo giorno in un clima di preghiera, di silenzio, di digiuno e di penitenza. Questi non sono solamente segni esteriori della nostra compunzione interiore per la passione e morte del Cristo, ma delle espressioni reali della nostra partecipazione alla sua sofferenza redentiva. A tal proposito il teologo Von Balthasar afferma: «la sofferenza sostitutiva del Cristo non è esclusiva, ma inclusiva, il suo gesto inclusivo non può che condurre altri a soffrire con Lui». Addentriamoci in questo mistero di salvezza, avendo nel cuore il desiderio di soffrire insieme con Lui per la salvezza dell’umanità e la certezza, proveniente dalla fede, che quelle piaghe che oggi contempliamo sanguinanti, sono le stesse piaghe che nel giorno della Risurrezione contempleremo gloriose.

Le monache clarisse del Sacro Cuore di Alcamo

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