Cosa facevate nel tempo libero prima di Facebook? Ammesso che per voi permanga un passatempo e non divenga, come per tantissimi, quasi un part-time: sparaballe (presso Facebook, no?), forti di un impareggiabile contratto a tempo indeterminato dal non invidiabile trattamento economico: “aggratis”. Se gli anni ’80 furono il decennio dell’eroina, i ’90 quelli della coca e i 2000 degli acidi, il nostro è senz’altro quello della pesantissima droga leggera del web: sonnolento narcotico dell’attuale generazione. la ragione del successo è presto rinvenibile nel suo rispondere sbrigativamente, ma non altrettanto pragmaticamente, a un intrinseco istinto bramoso di popolarità e consenso al proprio smisurato ego, che induce anche il più concretamente introverso a esplicitarsi virtualmente in un turbine retorico che rende i social network dei non-luoghi saturi di non senso.
Facebook costituisce lo spazio virtuale in cui tutti questi meglio s’incontrano, traslando l’ignoranza degli smodati comportamenti un tempo vivamente esternati, in esibizioni fotografiche, parolaie e citazioniste parimenti saccenti che per lo più imperversano nei medesimi social che tanto animatamente uniscono le persone quanto anche freddamente le distruggono, se non vi si presta l’adeguata attenzione. Viceversa a chi, a ragione, schiva la routine di connessione, prescindendo da questo carcere virtuale pregno di tante belle parole al computer quanto vacuo di azioni compiute, che pure tanti altri né dicono né fanno, vantando una passiva attività sociale sul network pur inspiegabilmente conoscendo le non meglio specificate performance dell’amico: spioni, guardoni telematici, voyeur. Sconosciuti “amici” che finiscono in una fantomatica lista degli “amici” (che sarebbe meglio chiamare “contatti”, per la loro inadeguata affiliazione relazionale) di numerosi iscritti pullula giusto d’insigni ignoti. e nel ripulirla, accade non di rado di soffermarsi anche su qualche volto e, confortati, pensare: «Questo almeno lo conosco!», laddove dovrebbe di norma verificarsi l’esatto contrario.
Ma the social network infatti, non è la realtà (ma “una”) e neppure il virtuale, forse: è l’immaginazione del copia e incolla in un “celomanca” d’antan che ci riporta alla raccolta delle figure dei calciatori con storici scambi di nomi e pezzi introvabili: qui i Pizzaballa della situazione personalizzano però le impostazioni al fine di non essere rintracciabili neppure da se medesimi. rari casi in un clima permeato dall’imperante vippismo fintamente snobista per cui siamo e restiamo tutti “amici”: finché Facebook non ci separi, ovvio. poiché un commento sgradito potrebbe procurarvi l’eliminazione dalla lista dell’altro o addirittura una segnalazione che vi costerebbe l’espulsione da quest’antinomica nicchia di massa. chi crea un account ne accetta però anche il correlato rischio: accidentale dolo o colpa cosciente? cambia ormai qualcosa? Forse … boh! Questa guerra retorica a colpi di messaggistica istantanea o meno si consuma ogni giorno vedendo i propri belligeranti vicendevolmente trincerati dietro uno schermo alla vanagloriosa ricerca di una blanda popolarità: in ossequio ai 15 minuti di gloria profetizzati da andy Warhol, che accatastano però molte più ore. l’apice del narcisismo è però suggerito da quel ributtante autocompiacimento a un proprio commento e ad un altrui quand’è anche un complimento rivoltoci, per sentirci un attimo più importanti, che già nel seguente siamo nuovamente impegnati a replicare ai commenti.
Sinceramente: a chi basterebbe, ormai, un solo quarto d’ora su Facebook? Si contesta tanto l’esuberante egoquanto si è lesti ad applaudire chi per esso si distingue. Nessuno si è iscritto per mantenere i contatti con gli amici: quelli si sentono e incontrano già spesso. Ma è per dimostrare a questi “amici” che si ha qualcosa da enunciare e talvolta anche discretamente da esprimere: seguendo questo ragionamento per accumulazione, il prodotto all’inverso è che nessuno ha ormai più qualcosa da dire e perciò si postano, per convenienza, i link, all’occasione panacea del personale vuoto etico che trova riempitivo in un box simile a un diario di bordo del nostromo e dei segreti rivelati dalle adolescenti, in cui v’è piuttosto chi non scrive un bel nulla di interessante: manifestando esattamente il riflesso di una vita vuota nel reale. la grande ipocrisia contemporanea che ci vuole tutti amici per poi saper prescindere, di presenza, da un reciproco saluto che dovrebbe apparire normalissimo dopo un’infinita serie d’interazioni, che ci fa pensare su come forse fosse meglio restare a casa, dietro il pc, laddove il più banale “ciao” in chat non sarebbe negato: anzi. a tal proposito, una volta se non uscivi restavi a casa: ora, non uscendo, stai su Facebook. un simile post ha già ottenuto, a conferma di ciò, i “mi piace” di chi, proprio, non era uscito, preferendo trincerarsi in quello che è il bar dello Sport per i maschi e la parrucchiera per le femmine, dove a domande gossipare del tipo: «Ma a quello lo conosci?», si risponde tranquillamente ormai con uno sbrigativo : «Sì, ce l’ho su Facebook … », oppure: «certo, mi commenta i post!», o ancora: «Sì, ci chatto spesso». pare anche doveroso chiarirlo: prima l’amicizia era pressoché una cosa seria che transitava necessariamente dal contatto per divenirlo; ora il contatto lo chiamiamo “amico”, immemore della secolare corrispondenza biunivoca che ne ha concesso duraturi legami. ora è solo un click col mouse che porta molti incauti ad ampliare la propria rete relazionale, obliando l’infantile insegnamento genitoriale che dissuadeva dall’accettare qualcosa dagli sconosciuti: come proprio il suggerimento d’amicizia di tantissimi, poi invece aggiunti. “amici” e guardati. e guardali su Facebook.
Roberto Scaglione per Condividere
(robertoscaglione88.altervista.org)