Metti il cous-cous nelle mani dei detenuti, faglielo incocciare e cucinare con brodo di pesce e poi loro stessi lo servono al pubblico abbinando pesce fritto e panelle alla palermitana. La semola della pace, che da quindici anni mette insieme popoli del Mediterraneo a San Vito Lo Capo, per un giorno ha fatto aprire le porte della casa circondariale di Trapani: detenuti e ospiti hanno vissuto una mattinata inebriata dai gusti della cucina “vissuta” da sei detenuti. Stoian Vasile, Emilio Greco, Marian Airinei, Francesco Martello, Mohamed Youssoufi e Claudiu Balan sono stati gli allievi del corso tenuto da Giuseppe Sanfilippo dell’Engim: 4 mesi dietro ai fornelli per imparare a incocciare il cous-cous, ad aromatizzarlo e poi cucinarlo secondo la ricetta tipica trapanese. Ed eccola la semola della pace “targata” San Giuliano che ieri ha catturato il palato del pubblico.
«Queste sono occasioni nelle quali il carcere comunica con l’esterno e si mostra non soltanto come luogo per espiare una pena ma come tappa di un cammino rieducativo che ha come protagonista l’uomo» ha detto il Vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che ha preso parte all’iniziativa.
Cous-cous segno di pace ma anche di festa, «che qui – ha detto il direttore del carcere Renato Persico – assume a se anche il valore della solidarietà e della speranza». Tra il pubblico, per l’iniziativa organizzata da Feedback e Comune di San Vito Lo Capo (era presente il sindaco Matteo Rizzo) anche venti detenuti della sezione “protetti” e dieci donne della sezione femminile. Sul palco, invece, Antonella Lusseri ed Ernesto Maria Ponte con gli chef sanvitesi Vito Miceli, Giorgio Graziano e Giuseppina Candela, sfidanti della squadra dei detenuti-chef che, alla fine, l’ha spuntata a furore di applausi per la migliore incocciatura.
«Qui dentro, dove la libertà è privata, la mente può fare brutti scherzi – ha detto Mohamed Youssoufi, detenuto marocchino – e imparare a cucinare e confrontarsi con gli chef veri per noi ha un valore d’importanza sociale». Ritornare a lavorare, una volta fuori dal carcere per vivere una nuova vita. Come quella del rumeno Stoian Vasile, anche lui con grembiule bianco e cappello: lui sta finendo di espiare la pena e una pasticceria di Trapani l’assumerà nel proprio laboratorio. Prima di saper cucinare il cous-cous ha imparato, sempre in carcere, a preparare i dolci. Dentro questi corridoi lo descrivono come un bravo pasticcere. E per lui, nella sua nuova vita fuori il carcere, c’è un futuro a colori.
Dal nostro inviato a Trapani Max Firreri