Nella quinta domenica di Pasqua (anno C) ascoltiamo, dal Vangelo secondo Giovanni, l’inizio del discorso di addio di Gesù (Gv 13,31-35; il lezionario omette il v. 33b). Giuda, il traditore, è appena uscito dal cenacolo. Rimangono con lui soltanto i discepoli che, dopo la sua morte, saranno chiamati a portare avanti la sua opera. Così Gesù consegna loro il suo testamento spirituale, spiegando loro il significato e le conseguenze della sua morte imminente e istruendoli su come dovranno vivere dopo la sua Pasqua. «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (v. 31). Questa glorificazione è la morte stessa di Gesù, di cui egli parla come se fosse già avvenuta. La croce glorifica il Padre e il Figlio perché ci rivela chi sono veramente il Padre e il Figlio. Gesù, rinunciando a salvare se stesso, ci rivela l’«assoluta dedizione di Dio nei confronti dell’uomo» (P. Sequeri, L’idea della fede, 2002, p. 107).
«Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito» (v. 32). La glorificazione, di cui Gesù parla al futuro, è l’ultima glorificazione che egli riceverà dal Padre, la stessa che gli chiederà poco dopo nella grande preghiera del capitolo 17: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). È la gloria che Gesù riceverà quando siederà finalmente alla destra del Padre. La sua missione di Rivelatore, però, non si esaurisce: dal cielo Gesù continuerà, in modo diverso, a manifestare il volto di Dio.
«Figlioli, ancora per poco sono con voi» (v. 33a). Gesù li chiama «figlioli» perché si rivolge a coloro che lo hanno accolto e credono nel suo nome, «i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,13); si rivolge a noi, che con il Battesimo siamo rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo (cf. Gv 3,5). Ma la Pasqua di Gesù, ormai prossima, comporta che egli, in un certo senso, si separi dai suoi.
«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (v. 34). Ecco la prima disposizione testamentaria di Gesù, che egli stesso chiama «un comandamento nuovo»: è nuovo non perché nessun altro abbia mai esortato all’amore reciproco (cf. Lv 19,18) ma perché questo comandamento si fonda sulla novità di Gesù. In realtà, anche se più avanti Gesù parlerà dei suoi «comandamenti», al plurale (cf. Gv 14,15.21; 15,10), l’unico comandamento che dà ai suoi discepoli – almeno nel Vangelo secondo Giovanni – è proprio quello dell’amore reciproco (cf. Gv 15,12). Poco prima, quando ha lavato loro i piedi, Gesù ha insegnato che questo amore si concretizza nell’umile servizio reso ai fratelli. Non dobbiamo considerare Gesù come un personaggio del passato, né limitarci a piangere la sua morte, ma volgerci al futuro e ai fratelli, perché l’amore di cui trabocca il cuore di Gesù continui a scorrere tra noi.
«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (v. 34). Gesù parla del suo amore per i discepoli come di un evento passato, ma si tratta ancora una volta della sua morte imminente, perché «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). L’amore di Gesù per i discepoli è esempio e fondamento dell’amore reciproco dei discepoli.
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (v. 35). In un mondo che pullula di variegate idee religiose e irreligiose, il segno che permetterà a tutti di riconoscere i discepoli di Gesù sarà proprio il loro amore reciproco. «Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3,6): così il mondo potrà vedere nell’amore reciproco dei discepoli il segno dell’irruzione dello Spirito di Gesù.
Don Erasmo Barresi
IL COMMENTO ALLA QUARTA DOMENICA DI PASQUA
IL COMMENTO ALLA TERZA DOMENICA DI PASQUA
IL COMMENTO ALLA SECONDA DOMENICA DI PASQUA


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