Il motu proprio di Paolo vi Apostolica sollicitudo istitutivo del Sinodo dei vescovi è stato recepito nel codice di diritto canonico che offre una visione sintetica e pienamente aderente alla prassi sinodale attuale. Il can. 342 recita: «il Sinodo dei vescovi è un’assemblea di vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell’orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i vescovi stessi, e per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della chiesa nel mondo».
Le finalità del Sinodo sono due: la prima, di natura comunionale, attiene al mistero della chiesa e alla natura dell’episcopato; la seconda, operativa, evidenzia la collaborazione al ministero del Successore di Pietro. La prima finalità è preminente e rivelatrice del fatto che il Sinodo esprime e attua la comunione effettiva tra i vescovi e la favorisce attraverso la sollecitudinepastorale, modalità espressiva dell’affectus collegialis, fondativo della collaborazione ecclesiale tra i vescovi. D’altra parte se la chiesa universale è communio tra le chiese, e questo è il senso della sinodalità, essa è governata, in determinate circostanze e a precise condizioni, con atti posti dal collegio dei vescovi. da quanto detto appare riduttivo limitare l’apporto dei vescovi alla mera funzione consultiva sulle questioni poste dal Papa.
In proposito giova ricordare quanto affermato dal card. Alfrink, il 22 dicembre 1959: «in termini chiari il concilio proclami che il governo della chiesa universale è di diritto esercitato dal collegio dei vescovi avente a suo capo il Sommo Pontefice. da qui segue che, da una parte, la cura del buono stato della chiesa universale spetta a ogni vescovo preso singolarmente e che, d’altra parte, tutti i vescovi possono avere una partecipazione al governo della chiesa universale. Questo può farsi non solamente con la convocazione del concilio ecumenico, ma anche con la creazione di nuove istituzioni… Le congregazioni romane non manterrebbero che il potere consultivo ed esecutivo». il desiderio del card. Alfrink, insieme agli apporti di eminenti personalità episcopali, determinò prima il Papa e poi il concilio a istituire il Sinodo dei vescovi.
Un correttivo alla semplice funzione consultiva è introdotto dal can. 343, che recita: «Spetta al Sinodo dei vescovi discutere sulle questioni proposte ed esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa». Ma, anche qui, ciò che parrebbe una concessione è piuttosto il riconoscimento di una potestà che per il sacramento dell’ordine è conferita ai vescovi direttamente da dio e che viene esercitata in unione al vescovo di Roma (cum Petro et sub Petro).
don Vincenzo Greco