[LA RIFLESSIONE] Tempo di Pasqua, «noi medici, lontani dai nostri pazienti»

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È una Pasqua del tutto anomala e sottotono, quella che si andrà a celebrare il 12 aprile al tempo del coronavirus. E a maggior ragione in zona rossa qual è Salemi, la mia città. Mai avrei potuto immaginare di trovarmi in una situazione del genere. Il tempo è diventato tutto uguale, scandito da una dolorosa quotidianità, intrappolati nei nostri reparti, nelle nostre case, che prima amavamo tanto e ora ci sembrano prigioni. La paura, reale, del contagio ci impedisce di andare a passeggio e goderci la primavera coi suoi colori e i suoi profumi; ci impedisce di andare liberamente a fare una passeggiata soli o con la famiglia, al supermercato, in chiesa, a una serata con gli amici. Ci impedisce anche, e questo per un medico è dolorosissimo, di poter visitare e curare i propri pazienti negli ambulatori o nelle corsie dove sono ospitati solo i casi non dimissibili. Tutto chiuso se non per le urgenze indifferibili.

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Dobbiamo ringraziare, a tal proposito, i moderni mezzi di comunicazione che ci permettono di ascoltare i bisogni della gente; di curare a distanza i piccoli problemi di salute quotidiani, come nel famoso film “Il Medico della mutua” di Sordi; di poter dare sollievo anche con una semplice parola di conforto. Una cosa però abbiamo riscoperto, la forza della preghiera come un fattore interiore che porta, chi è credente ma anche chi non lo è più, a rivolgerci personalmente a Dio. D’altronde è scritto nel Vangelo: «quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto». Spesso mi chiedo come siamo arrivati a questo punto. E non posso non pensare che in questi ultimi decenni la sanità è stata smantellata. Quelli che una volta erano ospedali sono diventate aziende. Una qualsivoglia azienda mira solo al profitto e nella sanità pubblica ciò è una bestemmia.

A che serve ora mettere i tricolori sul balcone e chiamare eroi medici e infermieri? Siamo professionisti con una deontologia e un codice etico ben precisi. Vogliamo solo lavorare in maniera sicura come dovrebbe essere in un paese civile, dove ci sono interi trattati che tutelano la salute dei lavoratori; dove ogni anno si organizzano lucrosi e obbligatori corsi di formazione sulla prevenzione tranne poi a farli rimanere parole vuote. Quindi basta con questa retorica patriottica che sa tanto d’ipocrisia. Cosa bisogna fare allora in questi casi, perchè sono convinto che nel tempo si ripeteranno? Agire prontamente per contenere il contagio con leggi chiare di quarantena. E subito dopo porre in essere robuste e coraggiose forme di sostegno statale all’economia. Sono convinto, comunque, che questa crisi porterà dei cambiamenti positivi, ricollocando al centro di tutto come priorità la vita umana, la salute e il rispetto del nostro pianeta.

Biagio Grimaldi per Condividere

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