Dottore Linares, i mafiosi temono più il sequestro e la confisca dei patrimoni che il carcere…
«Evidentemente l’arresto viene visto da sempre come un prezzo e un rischio calcolato dai mafiosi, da pagare individualmente. Col passare degli anni, la mafia ha scelto di cambiare strategia: da quella stragista a quella che gli americani chiamano dei white collar workers, ossia dei colletti bianchi, più affari e meno morti. Una mafia borghese che predilige un’attività criminale che dà lo stesso guadagno ma espone a minori rischi perché le pene sono non sono pesanti. Ecco, in questo vuoto che si è creato si è infilata la mafia. In contrapposizione all’arresto, il sequestro, invece, colpisce l’azienda come catalizzatore di interesse collettivi, quelli degli impiegati, dei fornitori».
Anche in quest’ultima operazione “Corrupti Mores” si conclama un fatto già risaputo: alcune parti della politica si “mettono a disposizione” della mafia e di imprenditori corrotti. Cosa fare per rompere questo “patto di ferro”?
«Il “patto” tra porzioni della politica e mafiosi si può rompere con l’innesto di una nuova cultura che non si basi più sul favore. La politica, in questi decenni, ha sfruttato le necessità della gente, approfittando dei bisogni e gestendo il proprio potere. Questo scambio mette in una situazione di sudditanza il cittadino. È un circolo vizioso, malato, che distrugge». Dottore, quale è la sua idea di bene comune? «Innanzitutto il rispetto delle regole, del prossimo visto come anello di una catena di interessi da salvaguardare. Ogni persona ha un suo valore al quale va posto interesse. Secondo me l’idea vera di bene comune è la nascita di una cultura che abbini il rispetto delle regole e il rispetto del prossimo considerandolo una risorsa. Occorrono, certamente, più esempi, pensando a un vero sistema, in tutte le istituzioni, compresa la Chiesa, all’interno della quale, in verità, ci sono posizioni nuove e interessanti. Oggi soffriamo ancora dell’assenza di cultura e di manifestazioni di pensiero».
Mentre la mafia non è stata ancora sconfitta, questa provincia ha un suo primato: è la terra del primo superlatitante Matteo Messina Denaro. E la società civile, secondo lei, cosa fa?
«La società debolmente inizia a dare le proprie attestazioni nei confronti di investigatori e magistrati impegnati sul fronte della lotta alla mafia. Vent’anni fa, proprio qui a Trapani, tutto questo era impensabile. All’indomani delle stragi del ’92, quando arrivai da poliziotto, non c’era una sola persona che osasse applaudire i poliziotti. Oggi c’è una maggiore presa di coscienza e predisposizione di spirito. Ma non bisogna perdere la memoria. Qualcuno, proprio per questa operazione compiuta a Trapani, aveva dimenticato cose, tempi e fatti. Ora ritornati alla mente».
Dottore Linares, da anni insegue il superlatitante Matteo Messina Denaro. Se l’avesse faccia a faccia cosa gli direbbe?
«Un’unica cosa: c’era bisogno di arrivare a tutto questo? Un uomo intelligente come lei poteva evitare di rovinare tante famiglie, rendendosi protagonista di tanti lutti e dolori altrui. Così come era lecito risparmiare il controllo criminale di interi territori. A chi, invece, favorisce la sua latitanza rivolgo un appello: è strada che non spunta, è un vicolo cieco che non vi farà più vedere la luce».
Chi è Giuseppe Linares
Giuseppe Linares è originario di Marsala, ha 43 anni ed è capo della Divisione anticrime della Questura di Trapani. Dal 2010 è vice questore e per 14 anni è stato capo della Squadra Mobile di Trapani. Ha portato a compimento numerose operazioni antimafia, come l’arresto, tra gli altri, dei boss Andrea Mangiaracina, Francesco Milazzo e Natale Bonafede. Ha collaborato con la Commissione Nazionale Antimafia.
Max Firreri
Inviato a Trapani per il quindicinale “Condividere”
(L’immagine di copertina è di Flavio Leone)
condivido in pieno quanto affermato da Peppe Linares