Il Vangelo di Marco di questa domenica (1,12-15) non entra nei dettagli, raccontando le tentazioni di Gesù. I particolari non lo hanno interessato. Oserei pensare che mostrare il Maestro in lotta con Satana non lo entusiasmasse proprio, anche se la vittoria non fu mai in discussione. Forse avrà ritenuto che lasciare il discorso in sospeso fosse più intrigante per il credente che avrebbe letto, anche perché l’oggetto delle insinuazioni del diavolo direttamente non potevano riguardarlo. In ogni caso, i pochi cenni dell’evangelista sono molto suggestivi e suscitano alcune considerazioni utili per la vita di ciascuno.
La prima cosa che si evidenzia è che Gesù non va nel deserto per scelta autonoma, ma spinto dallo Spirito. Questo non significa che egli non volesse andare; piuttosto il testo vuole farci capire che le tentazioni rientrano nel progetto che Dio ha su di noi. Nessun allarme, allora, e nessuno sgomento. Nella tentazione siamo assistiti dallo Spirito, che ci condurrà alla vittoria, se lo assecondiamo, sotto la forza della Parola.
Il secondo dato riguarda la durata della tentazione (quaranta giorni); non breve, ma tutto il tempo necessario per preparare la vittoria. Pensare di scrollarsi di dosso la tentazione, assestando un calcio al diavolo sarebbe simpatico, ma non realistico. Riuscire a guardare in faccia il tentatore con pazienza e perseveranza è già una vittoria. Stupisce, perciò, il contesto di armonia interiore in cui il Signore si mostra, esternato nel rapporto sereno con le bestie selvatiche. È in qualche modo l’anticipazione dell’esito finale, quando egli domerà anche l’irriducibile avversario. Quando siamo tentati solo la pace del cuore e la comunione con Dio potranno garantirci di uscire vincitori anche noi dalla prova.
Da ultimo, solo la vittoria sul tentatore dispone a essere annunciatori validi e credibili della buona novella, come il Maestro.