La tradizione cristiana celebra da sempre questo giorno come “giorno del grande silenzio” o del “grande riposo”. Nel 1969, in una meditazione tenuta per la Pasqua il teologo Joseph Ratzinger ebbe a scrivere: «Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo ad essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio…?». Svilupperà poi tutta la sua meditazione adagiandola su uno sfondo culturale che si avvantaggia dell’urlo lacerante di Nietzsche elevato tra terrore ed angoscia: «Dio è morto! Dio rimane morto! E noi lo abbiamo ucciso!». Concluderà con riferimenti teologicamente penetranti sulla luminosità della croce vuota da contemplare il Sabato santo ma ribadendo «l’oscurità divina di questo giorno che […] parla alla nostra coscienza». Sembra così il Sabato santo un giorno di muta mestizia che per secoli è stato vissuto con accenti luttuosi, giorno emblematico di un’epoca come la nostra che cerca di sedare con l’attivismo il trauma dell’assenza, dichiarandosi però incapace di trovare la via d’uscita dalla sua “angoscia mortale” per dirla ancora con SørenKierkegaard.

Ora, possiamo noi cristiani condividere questa affermazione di assenza? Percepiamo davvero questo clima di silenzio di Dio? Possiamo concepire un giorno terreno, un solo giorno, o anche una sola ora, o un solo attimo, in cui Dio non opera salvezza? Se ci si ferma alla superficie dei racconti biblici tutto ciò può apparire verosimile! Leggendo con ottica umana l’assenza di Dio può apparire persino plausibile! Ma basta scavare un poco più a fondo nella rivelazione per apprendere che in realtà ci fu un grande trambusto quel giorno, perché Dio infranse la regola di riposo che s’era data, e la infranse per mezzo del suo Figlio datoci come “segno di contraddizione”.
Che fosse giorno di riposo per gli ebrei è un fatto scontato e risaputo: era Shabat che letteralmente significa smettere, cessare, ma che si può anche ricollegare alla radice shev’ah, che significa sette. Dio il settimo giorno smise di creare e si riposò, stando al racconto genesiaco. Per di più nel racconto della passione di Giovanni apprendiamo che quell’anno il sabato sarebbe stato un sabato speciale, perché coincideva con la Pasqua ebraica. Gesù muore nel giorno della Parasceve, vigilia di preparazione della festa pasquale e nell’ora in cui nel tempio si immolavano gli agnelli. Tutto in Giovanni ha un significato preciso e una cronologia puntuale. E proprio a motivo della pasqua incombente Gesù viene sepolto in fretta e furia, nel giardino vicino al luogo della crocifissione. Poi cala la notte, illuminata dal gelido bagliore del plenilunio di Nisan, si entra nel riposo sabatico riempito dal rituale pasquale. Il giardino ha bagliori spettrali, la pietra pesante nasconde e protegge il cadavere. E qui comincia la Pasqua di Gesù e l’azione silenziosa di Dio. Silenziosa ma salvificamente attiva perché opera nonostante la morte ed anzi nella morte, per reciderne la radice maligna. Dio non è morto e solo chi è distratto può credere il contrario.

In quel principio di Shabat cominciò a diffondersi la tenue e dolce melodia della vita, che si svilupperà sino al “fortissimo” domenicale; la udiamo emergere dal silenzio nel racconto dell’apostolo Pietro, il quale ci dice che Gesù non rimase inerte come esige la morte ma iniziò l’esodo pasquale proprio in quel sabato che fuori dal sepolcro, nel gelido giardino, sembrava immoto come tutti gli altri. Cosa fece? Discese agli “inferi” e «andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua» (1Pt 3, 19-20). Come vi andò? «nello spirito»ci dice l’apostolo, perché era stato «messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito» (3, 18). Il contesto del testo indica la ragione per cui Cristo è considerato nello stato di morte, anteriore alla Risurrezione: è perché va a predicare ai morti come spirito separato dalla carne; va ad annunciare la salvezza ad altre anime separate dal loro corpo; in definitiva compie la sua missione in virtù di una comunanza di destino con loro. Ha assunto il loro stato per salvarle da questo stato. La teologia ci dice che non ha salvato nulla che non abbia assunto. E risuona il motivo della kenosis!
Gesù, in questo suo viaggio tocca il punto più estremo della precipitazione kenotica; è disceso oltre la porta della solitudine umana, nel fondo abissale dell’angoscia mortale dove davvero Dio è morto. Ma non per rimanervi! Pietro ricorda che anche qui si è realizzata la profezia del salmista: «non è stato abbandonato negli inferi» (Sl 16,10); scende negli inferi per liberare quell’umanità schiava della morte e condurla oltre il mare oscuro del nulla, in un nuovo esodo pasquale verso la terra promessa da Dio e che è lui stesso. E ancora una volta infrange il sabato, ne sconvolge l’immobilità con un movimento epocale, mai visto né ritenuto possibile. Lui è Signore del sabato e la salvezza dell’uomo viene prima del sabato. Così opera, compie l’opera del Padre suo. Il Sabato santo è una sorta di ossimoro salvifico, un viaggio nell’immobilità della morte, un passaggio nel riposo, un movimento nella quiete, un inno di gloria nel silenzio.

Non era dal profondo degli inferi, da “sottoterra”, stando all’inno paolino di Filippesi, che le “ginocchia” dovevano cominciare a piegarsi davanti al suo nome? Nel silenzio cosmico del Sabato santo, col sottofondo dell’armonia dell’universo, ha inizio l’ascensione pasquale di Cristo, fino al fragore del canto di “ogni lingua” che lo proclama Signore. Le ginocchia cominciano a piegarsi, in segno di adorazione riconoscente, a partire da quelle dei progenitori. Commovente l’omelia antica di ignoto ma avveduto autore che oggi viene proposta nell’Ufficio di lettura. Interpreta drammaticamente il brano petrino della discesa agli inferi narrando di Gesù che va a cercare in quel luogo Adamo, «il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: Sia con tutti il mio Signore. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: E con il tuo spirito.
E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete!».
In questo giorno di silenzio e di riposo apprendiamo con gioia che il nostro Dio vive e ci fa vivere, opera anche quando noi non ce ne accorgiamo e in Cristo Signore ci concede di essere uomini e donne pasquali anche in mezzo al Sabato santo della storia che lo ritiene morto.
don Leo Di Simone per Condividere
VERSO PASQUA/1 – Domenica delle Palme, ouverture del poema sinfonico trinitario
VERSO PASQUA/2 – La messa crismale: i cristiani appartengono all’unico corpo che è Cristo
VERSO PASQUA/3 – Messa “in Coena Domini”: l’Eucaristia nasce dall’amore di Cristo, si celebra nell’amore e genera amore
VERSO PASQUA/4 – Venerdì Santo, la figura di Cristo sofferente e morente: presenza viva in un mondo morto