[VERSO PASQUA/6] Pasqua di Risurrezione: tra Exsultet e Victimae Paschali

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La poesia si rivela sempre il linguaggio più adatto per esprimere il mistero che celebriamo e d’altra parte Dio non ha certo usato un linguaggio cartesiano per comunicarci il suo amore. La liturgia della Pasqua si contiene tra due canti mistagogici, che illustrano cioè il mistero con lo stesso linguaggio del mistero, linguaggio forgiato dalla rivelazione biblica ed evangelica e temprato dallo Spirito. Tra l’Exsultet e il Victimae Paschali si include tutta la celebrazione della Pasqua di Risurrezione e tutta la sua verità rivelataci dalla Scrittura e indicata dai santi segni. I misteri divini grondano luce nella notte più chiara del giorno, notte che sola custodisce il mistero che ci ha redenti. È la notte del Sabato santo, chiusa ad ogni indagine umana, che si tramuta in un giorno nuovo, giorno sfolgorante di luce: è la notte di Dio che passa, mentre l’Agnello è ucciso e le porte segnate e i figli biancovestiti risalgono dal fonte dell’acqua profonda come Adamo sale dallo Sheol tenuto per mano da Cristo. La Chiesa ha di che esultare nella santa notte in cui tutto si compie, e il suo canto fa eco a quello degli Angeli e dell’immensa assemblea celeste mentre viene proclamata “felice” la colpa di Adamo che ci meritò un così grande redentore. Adesso è la “stella del mattino”, nuovo astro nel firmamento, luce che non conosce tramonto, a orientare le sorti dell’umanità.

Le donne mirofore al Sepolcro.

La sequenza Victimae Paschali introduce alla proclamazione evangelica della Messa del giorno e se ne fa poetica introduzione e apposizione previa. Se cordialmente cantata, seguendo la linea melodica rigorosa e drammatica del gregoriano, può liberarci dalla superficialità con cui le abitudini religiose ci hanno facilitato l’ascolto dell’annuncio della risurrezione; una facilità che esime spesso la coscienza da severi confronti e severi dubbi, per metterla di fronte al kerigma pasquale che suona in tutta la sua radicalità, la sua difficoltà, la sua irragionevolezza. Ci troviamo coinvolti nel gruppo degli Apostoli che al racconto delle donne pensavano si trattasse di “vaneggiamenti”: visioni angeliche, il sudario, le vesti, il sepolcro vuoto… queste le uniche prove della risurrezione. Sembra quasi che il contenuto narrativo della sequenza, la severa solennità della sua semantica melodica siano in contrasto con lo slancio gioioso, sicuro e lirico dell’Exultet. Ma il trait d’union tra le due composizioni musicali è l’esile linea della fede che vivendo dell’ascolto riesce a penetrare nel grande gioco di Dio che continua ad ammantare di fragilità ogni suo atto.

Caltagirone: mosaico all’interno della chiesa Madonna della Via.

Non è un evento miracoloso la risurrezione, che colpisce gli occhi di tutti, né si svolge secondo la modalità prediletta dalla coscienza religiosa, apologetica, per cui viene spontaneo domandarsi perché Gesù risorto non si sia presentato a tutti, perfino a Caifa, a Erode, a Pilato, per una legittima rivincita o solamente per rendere solare quella Verità che osò mostrare in forma crucis. Così ci lascia senza argomenti probatori, nella kenosis buia della fede. Può la fede risalire da questo abisso di incapacità a provare la luminosità del suo oggetto, la ragione prima ed ultima del suo stesso essere? Possiamo essere tolti dall’imbarazzo di proclamare al mondo una verità che non si impone come la croce che segno di sconfitta è e rimane? La croce sì è evidenza, non la risurrezione che il mondo interpreta come vaneggiamento non dissimile da quello delle donne di ritorno dal sepolcro. Né risulta convincente rivestire il nostro kerigma di fasto cerimoniale e sacrale nell’illusione che il mondo lo creda e lo accolga. Dobbiamo però convincerci che ciò che decide non può essere l’evidenza. L’evidenza rende assolutamente inutile la libertà perché costringe e quindi annulla le dinamiche dell’amore e della scelta.

Noi siamo nella stessa condizione di Pietro così come lo abbiamo udito parlare stamattina! Il discorso di Pietro è un discorso pericoloso e che gli arrecherà non poche conseguenze: carcere, disprezzo, violenza, martirio. Martirio: quella di Pietro è una testimonianza, anzi, la testimonianza della Verità, proprio quella apparsa in forma crucis. È la denuncia dei poteri di questo mondo che uccidono il giusto, sintetizzabili nel “potere di Satana” che nel linguaggio biblico  è ciò che contraffà la Verità arrogandosene il monopolio ma frantumandola per sua necessità dia-bolicamente in una serie di menzogne condivise. Pietro dice in sostanza che è contrario alla sapienza evangelica isolare l’annuncio della risurrezione dalla totalità di ciò che Gesù fu, disse e fece.

Verona: il battistero di San Giovanni in Fonte all’interno del Duomo.

Prima di proclamarne la risurrezione bisogna misurarsi con le sue parole e i suoi atti, altrimenti lo trasformiamo in un simbolo religioso come la cattedrale di Notre Dame che adesso anche gli atei e i potentati mondiali vogliono che risorga. Ma come possono credere alla risurrezione i violenti e gli operatori di guerra? Come possono crederci coloro che sociologicamente si collocano nel Sinedrio, nel Pretorio, nel Tempio, nella reggia di Erode? Pietro sa che non si può parlare del Risorto con le spalle coperte dalle garanzie del potere. La passione del Signore è una denuncia continua di coloro che ritengono di avere potere di vita e di morte, come Pilato disse di se stesso. Questo è il potere di Satana contro Gesù «il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,38).

Cero pasquale.

Di certo, se la fede nella risurrezione del Signore non diventa un impegno a puntare il dito su coloro che confidano nella minaccia della forza, su coloro che su questa fede costruiscono organizzazioni militari ed economiche che gravano sulle spalle dei poveri e degli umili, allora ogni annuncio di risurrezione è menzogna e Satana estende il suo regno anche nelle chiese che confidano nei potenti o coltivano potere mondano al loro interno. Da un po’ di tempo gli annunciatori della risurrezione non sono messi in prigione, perché viviamo in un mondo “liberale” dove si può dire di tutto. Siamo liberi di celebrare i nostri riti come tanti gruppi e movimenti le loro manifestazioni. Ma se si avverte che uno ha preso sul serio questo annuncio, allora viene messo in prigione e ucciso. È lungo l’elenco che parte da Pietro, passando per Tommaso Becket, Oscar Romero, Pino Puglisi… Non sono stati uomini “religiosi” che hanno tollerato con prudenza ingiustizie e soprusi, sono stati impudenti, facinorosi, destabilizzatori di un ordine che non tollera che il vangelo esca dal privato o dalla sfera del religioso per essere predicato nelle piazze.

Roma, Musei Vaticani: arazzo.

Si potrebbe pensare che avendo iniziato con la poesia si stia adesso terminando con la prosa più cruda, ma non è vero. Questa è la poesia del vangelo cantata dalla sequenza pasquale: «Mors et Vita duello conflixere mirando: Dux Vitæ mortuus, regnat vivus»: la lotta di Dio per affermare la verità della vita che è contro la menzogna della morte. È il dramma cosmico di un conflitto innescato dal peccato e di cui il coro, come nella tragedia greca, proclama l’esito. E mentre l’esito nella tragedia greca è sempre di catastrofe luttuosa, qui si canta la vittoria della vita. Qui si canta la poesia di Dio, che non è uno svolazzo metafisico o romantico ma un poiein, un fare, un creare. Alcuni studiosi indicano nella radice sanscrita PU l’origine dell’etimo greco con significato di generare; la generazione presuppone due entità in comunicazione che danno origine a una terza, e questo allude alla generatività della poésis.

Sfruttando questa chiave ermeneutica si potrebbe dire che Cristo è la Poesia del Padre e che per lui si genera un significato nuovo nello Spirito che è opera sempre in atto della creazione e della redenzione, in eterna pericoresi tra verità, bontà, bellezza. La risurrezione di Cristo è bellezza che riflette la verità di Dio e ne comunica l’infinita bontà agli uomini nella novità dello Spirito. Nella liturgia, poésisdi Cristo e della Chiesa, celebriamo tale bellezza che ci ha salvati sciogliendo l’ambiguità del celebre e trito adagio di Dostoevskij «la bellezza salverà il mondo». Noi indichiamo nel Risorto la Bellezza che ha salvato il mondo, cantando: «Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: Tu nobis, victor Rex, miserere».

don Leo Di Simone per Condividere – fine

VERSO PASQUA/1 – Domenica delle Palme, ouverture del poema sinfonico trinitario

VERSO PASQUA/2 – La messa crismale: i cristiani appartengono all’unico corpo che è Cristo

VERSO PASQUA/3 – Messa “in Coena Domini”: l’Eucaristia nasce dall’amore di Cristo, si celebra nell’amore e genera amore

VERSO PASQUA/4 – Venerdì Santo, la figura di Cristo sofferente e morente: presenza viva in un mondo morto

VERSO PASQUA/5 – Il giorno del grande silenzio, così apprendiamo che il nostro Dio vive

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